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Il puro canto
il puro canto
chissà se esiste per noi umani, come nostra espressione in quanto essere umani. Certo che pensare al “puro canto” è un’utopia che sposta il piano mistico-religioso su quello estetico, cioè lo riporta al mondo umano e alle sue condizioni, non relato al divino.
Ma l’aggettivo “puro” non puó non portare con se’ per noi il senso dell’impuro di fronte al divino, se non di fronte a Dio, e quindi l’utopia estetica si contraddice e riporta allo slancio mistico, dove umano e divino si incontrano nell’esperienza. E se il “puro canto” fosse il linguaggio per fonemi e parole simbolici che cerca di dare voce a ció che giace sepolto nell’inconscio? allora “puro” potrebbe essere ció che si autodefinisce al di fuori delle leggi della rimozione, dello spostamento, del ripetitivo per conforto maniaco, del depressivo per affezione senza uscita verso il proprio trauma. Puro dal trauma. Depurato del male che ci ha travolto e cambiato, forse non per sempre, sciolto nel canto libero, che ci suona magico perchè, dopo aver corso i rischi peggiori, puó librarsi leggero e luminoso come mai prima ci si era svelato.
mi è venuto di getto commentando un testo di Lorenzo Leone, che qui riporto:
In uno di questi sentieri che si perdono nei boschi, che si interrompono, si arrischiano i temerari. Heidegger li chiama ‘arrischianti’ (così traduce Chiodi). Subito però aggiunge che questi arrischianti sono coloro che dicono di più, sono i più dicenti. Il sentiero in cui ci si arrischia è allora quello del linguaggio (dell’essere). Che cosa dice questo dire è davvero prevedibile? Per via negativa: non sollecita qualcosa da produrre; e nemmeno incoraggia l’ambizione. Un po’ poco, si dirà. (E questo poco non va nemmeno interpretato come piacere del puro canto [Gesang]). Per superare la propria reticenza, Heidegger cita qui, in questo suo commento a Rilke e ai suoi ‘Sonetti d’Orfeo’ (al terzo), un passaggio di Herder. Eccolo: «Un soffio della nostra bocca diventa il quadro del mondo, l’impressione dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti nell’anima degli altri. Dal moto di un soffio dipende tutto ciò che sulla terra gli uomini hanno pensato, voluto e fatto, e ciò che faranno di umano; tutti noi ci aggireremo ancora nelle foreste se questo soffio divino non ci avesse avvolti nel suo calore, e non pendesse dalle nostre labbra come un suono magico».
E quindi ringrazio di cuore Lorenzo, che sa regalare spunti e righe di tale ricchezza e con tale naturalezza.
Ma davvero???
Ma davvero si puó pensare che i migranti non prendono l’aereo e non usano i documenti in regola per scelta e gusto di avventura?

Oltre che lasciarli morire a pochi metri, POCHI METRI, dalle nostre spiagge, dobbiamo anche tenerci un ministro (minuscolo) che li accusa di essere degli irresponsabili? un ministro (minuscolo) che fa uscire le piccole unità della Guardia di Finanza (!) ma non le unità attrezzate al soccorso della Guardia Costiera) e un primo ministro (minuscolo) che non sa come declinare la sua vantata identità di donna madre cristiana ma va a fare una sfilata blindata e vuota sul luogo della tragedia?
La politica sanguinaria e farisaica inaugurata da Minniti e aggravata da Salvini, e non ripudiata da Lamorgese, trova nell’attuale governo il suo coronamento.
Le storie di Moria, che nell’estate 2019 sfociarono in episodi da guerra civile, sono dimenticate.
https://www.corriere.it/speciale/esteri/2018/moria/
Da Lesbo, Grecia, Europa, si vede la costa turca, distanza simile a quella tra Trieste e Grado.
La gente venuta a morire a Cutro partiva da Smirne, fiorente porto turco, ma la politica europea (non altro) l’ha portata a fare un viaggio per mare assurdo circumnavigando tutta la Grecia.
“Trieste è bella di notte” ha avuto molti giorni di programmazione ed è stato visto da tanta tanta gente, che non volta la testa dall’altra parte e non dá patentini di senso di responsabilità a chi non ha piú nulla da perdere se non la propria vita.
Conoscere, ricordare, farsi interrogare dai fatti: sono responsabilità di ciascuno.
le decadi
i sessanta: no, non ne parlo
i settanta, le medie e il liceo
gli ottanta gli studi il lavoro il grande progetto
i novanta la felicità e la caduta
i 2000 i cambiamenti necessari e il dolore
i 10 il ritorno e il tempio del tempo
i 20 la solitudine e la ripartenza, per ora…
e poi tutto sembra compresente, nello stesso arco di una stessa settimana, come ogni decade fosse una giornata
“e fu sera e fu mattina”
e il mondo intorno che è cambiato, come quando mi svegliavo di notte senza ricordare, nel momento, in che cittá fossi, e avrei potuto essere ovunque, perchè non riconoscevo. Nulla.
e le persone che incontro piú volte nel corso delle decadi e vedo su di loro la vita ch’è passata e che passerà, e mi intenerisco perchè so che loro vedono gli stessi segni su di me, ma che io stento a riconoscere, mentre su di loro sono cosí chiari
e penso che la mia settimana, “e fu sera e fu mattina”, non ancora finita, e che qualcosa, si, ho fatto, ho fatto… e un pensiero di un’amica commentato da un altro amico, che mi si rinnova ad ogni sera ed ogni mattina
l’istinto di tornare a casa (nonostante tutto)
avercela…

Cabaret Bisanzio
Lorenzo Leone recensisce “Waldemar”
“Personalmente, e su questo mi dilungherò un poco, sono stato attratto dagli effetti metatestuali o metaletterali, sottintesi o no, che costituiscono pause o momenti di riflessione pregnanti (e allettanti). Questi momenti sono occasionati dalle inserzioni di passi di Isherwood, di cui il romanzo è debitore sin dal titolo. Sicché già nel terzo capitolo, significativamente intitolato «Nudo», il corpo svestito o che si sveste o che si riveste – messaggio sociale, rituale, simbolico – cagiona subito una riflessione sulla scrittura. La quale, si sa, è (anche) svelamento di sé, messa a nudo (esistenziale, spinosa, condizione liminare). Chi dunque si mette a nudo nei romanzi di Isherwood? Chi in questo Waldemar? La ‘risposta’ di Tenaglia sopraggiunge un tantino tranchant:”
“In tutto ciò Waldemar nudo è il corpo (leggendario) che si fa superficie scrittoria.”
“Quanti Waldemar in questo romanzo! Certo caduchi, addomesticabili, come il personaggio di Ritorno all’inferno, ma anche bellicosamente virili, belli, nerboruti e infaticabili: così Saverio, il protagonista, così suo padre Girolamo, così Germino, Giorgio, Jonathan: e tutti ordinariamente omosex o bisex. Stranamente i personaggi femminili – la madre, la sorella, Galatea – sono invece figure esili, un tantino querule, di sicuro caparbie.”
Lorenzo Leone ha sottolineato alcuni aspetti con cura e precisione, oltre che con una dimensione implicita che accende curiosità verso il mio libro e quindi gli rende un enorme favore.
Ringraziare un recensore è operazione sdrucciolevole e sempre evitabile perchè imbarazzante. Però me ne prendo il rischio. Gli occhiali con cui ha letto Waldemar sono molto personali e attenti, e di questi occhiali gli sono grato.
Che poi abbia potuto scrivere dei personaggi maschili “tutti ordinariamente omosex o bisex” costituisce per me una vera soddisfazione: poter essere ordinari è un’utopia, ancora, ma nella mia storia evidentemente è stato possibile.
Gli occhiali di Lorenzo Leone hanno messo a fuoco alcuni aspetti e non altri, e questo è bello: il libro, qualsiasi libro che abbia senso, vive attraverso i mille occhiali diversi che lo leggono mettendo a fuoco cose diverse. Gli occhiali dei diversi lettori trovano nel libro il suo molteplice senso, altrimenti il libro a senso unico non ha alcun senso.
Il mio libro non è a senso unico, e vuole trovare i suoi possibili sensi molteplici, sperando che mi tornino, come in questo caso, rendendo vivo il libro e me stesso. Per questo io pubblico e desidero essere letto. Per questo ringrazio Lorenzo Leone, che ha messo occhiali attenti e personali e ha messo in atto una circuitazione vitale di senso.
la bottega del caffè e altre storie
Ieri pomeriggio su Rai5 c’era “La bottega del caffè”, regia di Edmo Fenoglio, con Renato De Carmine, Tino Buazzelli e tanti altri ottimi attore, andato in onda nel 1973.
Nel 1973 avevo 12 anni, e, come sempre mi capita riguardando le produzioni analoghe della Rai, ricordavo tutte le immagini, le espressioni, le scenografie, i movimenti, come anche di spettacoli teatrali realizzati per la Rai di Pirandello, Shakespeare, Ibsen, Cechov, Pinter, Dürrenmatt… visti cge avevo 9 anni, o 10, o 6, o 13…
Un gran patrimonio per la mia crescita. Aspettavo il venerdí sera di Rai1 per guardare queste cose. Non erano troppo pesanti per me bambino. Certamente non capivo tutto, ma anche adesso non capisco tutto di quel che vedo.
Non voglio parlare della decadenza attuale rispetto all’etá dell’oro: adesso l’offerta vede Rai 4, Rai5, RaiMovie, RaiStoria…
Il punto è che quando i canali erano uno solo o, poi, due, la Rai sapeva di avere delle responsabilitá verso il suo pubblico, e gli propinava il teatro al venerdí, e i cicli monografici sul cinema del mercoledí, oltre ai filmoni del lunedí. Nonc’era scelta, e, anche se si teneva la tv accesa solo per non aver silenzio in casa, si doveva incrociare Pirandello o René Clair per forza, e qualcosa restava comunque a scalfire le coscienze: la bellezza in atto poteva agire.
Adesso abbiamo libertá di scelta, possiamo pagare i canali dedicati per stordirci di serie a raffica, il miglior sintomo di una società paranoide come la nostra, o di sport, o di notizie h24 per essere informati ma mai coinvolti, e sui canali generalisti troviamo il livello riposante del trash che alla fine piace ai piú perchè li fa sentire comunque migliori di quei buffoni che sono in video.
Non a caso allora, e almeno fino a Palcoscenico di Antonello Falqui con Milva e Oreste Lionello dell’80-81, anche il varietà del sabato sera era di alta qualità.
Adesso quando parlo ai miei studenti che suonano musica espressionista, o impressionista, o neoclassica, e non hanno alcun riferimento, anche se hanno fatto il liceo, su cose che io avevo assorbito fin dalle elementari grazie alla mancanza di libertà di scelta e alla qualitá di programmazione della Rai della mia infanzia, mi sento fortunato. E non mi si dica che comunque tutto si trova nella rete, basta cercare… no, non si va a cercare la roba bella, non raccontiamoci delle frottole: la rete serve a farsi subissare di informazioni disordinate e stordenti, serve a farsi guardare, serve a trovare appuntamenti per fare sesso, serve a riempire il tempo, non a dargli consistenza.
1+1 x 3



Sono molto colpito dalla coincidenza: 3 film molto diversi, tutti del 2022, tutti nelle sale insieme in queste settimane, che narrano con profondità del rapporto tra due amici maschi, dalla preadolescenza all’etá matura.
Intensitá
Spessore
Problematicità
Affettività
Prospettive
Sono tre storie amare che mostrano la violenza degli stereotipi, anche nella definizione del maschile
E se fosse finalmente arrivato il momento in cui gli uomini imparano e cominciano a parlare di virilità e affettività, ma davvero?
Franz Schubert nasce a Vienna il 31 gennaio 1797

Waldemar a Colonia
A cosa serve fare le presentazioni dei libri?
Lo scrittore scrive. Da solo.
Il lettore legge. Da solo.
Serve a parlarne con qualcuno, rompendo quella cortina per cui lo scrittore scrive da solo e il lettore legge da solo.
Nella caduta di tale cortina, accade che una giovane donna sia colta dalle emozioni e venga a ringraziarmi inghiottendo le lacrime, per la semplicità e la profonditá di come parlavo, lei che per la prima volta si è davvero interessata a musica che non ascolta mai, quella classica, e che la sera a casa ha iniziato subito a leggere il mio romanzo.
Accade che chi prima che cominciasse la chiacchierata con musica mi squadrava in modo snob e sospettoso, alla fine si avvicini e mi parli della sua vita e dei suoi bambini come fossi un vecchio amico.
Accade che una signora sorridente e attenta dal primo istante e per tutta la serata, e che mi ha dato il coraggio con il suo sorriso e la sua attenzione, alla fine mi chieda se non ci fosse un riferimento a Leopardi nelle storie che racconto, e che io possa ringraziarla di cuore, perchè è stata la prima ad accorgersene. Cito perfino l’ermo colle, in un momento triestino della vicenda… e con gioia e soddisfazione la ringrazio, lei che non ha ancora letto Waldemar, e che non sa della citazione, ma ha colto lo spirito leopardiano che aleggia nelle mie pagine.
E mi porta a dire ad alta voce una cosa banale e reale: non ho scritto un saggio, quindi non ho spiegato tutto, nè ci sono note a complemento. Ho fatto narrazione, e, nel narrare, le cose non dette ma appena evocate hanno bisogno del lettore per esser colte, della sua sensibilità, della sua fantasia, della sua sintonia.
Accade che mi venga chiesto quale sia il mio legame culturale con la Germania, e che io possa dare una risposta cosí chiara da sorprendere me stesso.
Ecco perchè si fanno le presentazioni.
Ho persino venduto e firmato qualche copia! E alla fine c’era una bella pizza in compagnia!

Memoria
Parlamento tedesco, oggi, dalle 10 alle 11.
Celebrazione della Giornata della Memoria.
Obbligo di presenza e di vestire di scuro, uomini e donne.
Per la prima volta, oggi dedicata ai deportati perchè “omosessuali” (uomini, triangolo rosa) e “asociali” (donne lesbiche, triangolo nero).
In rappresentanza della comunitá queer, Klaus Schirderwahn, che dopo la guerra, per il permanere della legislazione nazista, in quanto omosessuale fu condannato alla prigione o ad una terapia obbligatoria, e scelse la terapia obbligatoria, mentre il suo compagno scontò un anno di prigione.
Georgette Dee ha cantato Eisler.




