
Chopin:
sotto voce
appassionato
agitato
con anima
con duolo
con fuoco
mezza voce
Lyssenko:
mesto
più doloroso
Debussy:
très calme et doucement expressif
très doux
murmuré
perdendosi
Satie:
très bien
toujours
en se regardant de loin
sans trop frémir
ignorer sa propre présence
dans la tête (in the head)
sans s’irriter
finir pour soiys (finish for yourself)
Toujours (always)
Ravel:
modéré-très franc
un peu pesant
assez lent-avec une expression intense
très expressif
presque lent-dans un sentiment intime
très doux et un peu languissant
Una breve lista di indicazioni tratte dagli spartiti delle composizioni in programma questa sera ci può dare chiara sostanza in un discorso scivoloso, quello che sembra essere tanto consono alle espressioni di Jankélévitch che parla di musica e di filosofia.
Sono indicazioni che il pianista si trova a dover interpretare, e che in qualche modo si sovrappongono all’oggettività (qualora esista un’oggettività in un qualunque sistema di segni) della scrittura musicale.
Premessa: in Italia abbiamo una pesante tradizione, che solo con gran fatica ci siamo scrollati dalle spalle (e ancora il lavoro non è compiuto), secondo cui la musica ha assoluto bisogno di essere tradotta in letteratura: l’estetica crociana dava alla poesia e alla letteratura il primato assoluto, e alla musica, causa la sua indefinitezza, il grado più basso, dunque i musicologi nostrani hanno dovuto costantemente (superando persino i giá tanto ingombranti psicologismi del secondo ottocento già abbastanza e i fervori sentimentali di epoca dannunziana) dare dignità letteraria alle opere musicali. La moderna musicologia italiana ha giustamente virato nettamente, aggiornandosi alla musicologia d’oltralpe, in primis quella anglosassone e quella tedesca.
Ma se mettiamo in relazione quella lista di indicazioni sugli spartiti non con i problemi estetici di area italiana, ma con il pensiero e lo stile di Jankélévitch, possiamo subito notare una chiara rispondenza, una sintonia, una comunanza. Nello stile fluido e ricco, e radicalmente estraneo a qualunque sistematicità, di Jankélévitch troviamo che quelle indicazioni, che sembrano sfuggire a definizione, che sembrano evocare qualcosa di indistinto, ma che invece distintamente si riferiscono a territori dell’espressione che sono sempre di confine, non solo sul piano sinestetico, sono assolutamente in risonanza con il suo discorso proprio sul piano estetico, filosofico, cioè sul piano della riflessione filosofica sul bello.
Personalità geniale e genialmente non classificabile, Jankélévitch ha centrato la sua indagine su argomenti appartenenti, si direbbe, all’insondabile: la morte; l’attimo; il non-so-che; il quasi-niente; lo charme; la notte; il giorno; l’indefinito, la superficialità; l’angoscia. Se ogni filosofo nel suo filosofare dà la propria definizione di filosofia, ecco, Jankélévitch ne dà una totalmente eccentrica. Punto di riferimento resta Bergson, fin dagli anni giovanili; vi si innesta poi il pensiero legato all’esistenza. La musica gli appartiene come la filosofia, quasi in pari grado, anzi, con osmosi. Tra riflessione filosofica e critica musicale in Jankélévitch le pareti sono fatte di tendaggi mobili e trasparenti.
Quegli stessi temi filosofici sopra appena accennati sono al centro dei suoi studi musicologici. I nessi che trova tra i Compositori e tra le loro opere sono spesso ellittici, soggettivi, azzardati, ma sicuramente stimolanti.Quegli stessi temi filosofici sopra appena accennati sono al centro dei suoi studi musicologici. I nessi che trova tra i Compositori e tra le loro opere sono spesso ellittici, soggettivi, azzardati, ma sicuramente stimolanti.
La sua attenzione alla musica francese, quasi ignorando la musica tedesca (in perfetta sintonia con la sua dura riflessione sull’impossibilità di perdono della Germania dopo la tragedia dell’Olocausto e del nazismo), è radicale, ma anche naturale: non si tratta di scelta ideologica, ma di adesione estetica evidente.
Il programma che presento è fatto di composizioni tutte (tranne il breve pezzo del compositore ucraino Lyssenko) citate negli scritti di Jankélévitch come momenti importanti se non paradigmatici.
Quegli stessi temi filosofici sopra appena accennati sono al centro dei suoi studi musicologici. I nessi che trova tra i Compositori e tra le loro opere sono spesso ellittici, soggettivi, azzardati, ma sicuramente stimolanti.
La sua attenzione alla musica francese, quasi ignorando la musica tedesca (in perfetta sintonia con la sua dura riflessione sull’impossibilità di perdono della Germania dopo la tragedia dell’Olocausto e del nazismo), è radicale, ma anche naturale: non si tratta di scelta ideologica, ma di adesione estetica evidente.
La notte. Il notturno dunque. Il notturno che deriva dal canto dei gondolieri, dalla barcarola, dal suo ritmo cullante. Il ritmo dell’addormentamento. Il ritmo della piccola morte, che alla morte rimanda. La Ballata n. 2 op. 38 è quasi archetipica per la chiarezza del ritmo di barcarola, per la netta opposizione di un carattere notturno ed uno diurno, per la stessa dedica al musicista romantico per eccellenza, il (pur) tedesco Robert Schumann. La Ballata n. 4 op. 52 però porta oltre questi argomenti e li avvita in un girare angoscioso unito ad una grande ampiezza narrativa che agli occhi di Jankélévitch la rende, insieme alla Fantasia op. 49, una delle vette assolute dell’opera chopiniana. Nell’ambito del Notturno, specificamente, la perfezione sembra trovarsi nell’op. 27 n. 1, dove l’indefinitezza del ritmo liquido, il canto che sembra non definirsi, e il contrasto con l’essenziale drammaticità della parte centrale, sembrano connotare la vera dimensione funebre, e, in quanto attinente alla morte, strettamente relata alla vita, dell’idea stessa di notturno: il luogo dove nelle fantasie che liberano nel sonno e nel sogno si librano senza limiti.
Nella cornice di queste composizioni chopiniane ho inserito uno dei più ampi Notturni di Gabriel Fauré, il n. 7 op. 74, che nel suo funebre e lento incedere di prima e terza parte, e nel suo ottimismo illuminato da raggi solari che passano però attraverso le inquietudini delle infinite complicazioni armoniche, sembra uscire dai paradigmi chopiniani per avvicinarsi alla sensibilità più naturale di Jankélévitch.
L’omaggio all’Ucraina attraverso il brano di Lyssenko intitolato Angoisse, angoscia, si inserisce senza forzature in questo arco.
Un secondo blocco ci presenta il mondo della notte in altri momenti: dalla figura lunare della Fanciulla dai Capelli di Lino alle brume dell’antro delfico con le sacerdotesse che danzano nei fumi, un danzare che pare immobile per la sua sacralità; a questa immobilità risponde il non-movimento congelato degli astri di Satie, in questo pezzo quasi esoterico e meccanico, si potrebbe dire (usando una delle indicazioni che Satie scrive sullo spartito) estraneo a se stesso. In mezzo, la Musica della Notte, dalla Suite All’Aria Aperta di Bela Bartòk: un sentimento panico della natura notturna, ritratta sonoramente nei versi e nei canti di insetti e uccelli che ne animano l’arco, su cui si libra un canto nudo, puro, oltre la definizione di malinconia o mestizia. E il ritratto degli Uccelli Tristi di Ravel, incredibilmente affine alla notte di Bartòk, e che crea un collegamento anche col concerto del 3 luglio, intitolato Catalogue d’Oiseaux.
Il terzo blocco è ancora affidato ad una composizione di Maurice Ravel: i Valses Nobles et Sentimentales: 8 valzer tra loro interconnessi, che portano come sottotitolo una citazione di Régnier, che dice “il piacere delizioso e sempre nuovo di un’occupazione inutile”.
La leggerezza, il non-so-che, lo charme; l’inutilità; in una grande composizione che sembra riassorbire il notturno e il diurno, la morte e la vita, nell’attimo prolungato di gioco senza profondità, e forse proprio per questo tipicamente francese, anche se il riferimento e l’omaggio di questi valzer raveliani è a Schubert, il viennese (!) che a inizio ottocento aveva scritto le due raccolte di Valses Nobles e Valses Sentimentales.
Se Jankélévitch rifugge dalla psicoanalisi e dalla pregnanza psicoanalitica del mondo onirico, mi permetto di notare un curioso parallelismo con una figura che a Parigi ha vissuto, operato e scritto nei suoi stessi anni: Jacques Lacan. Entrambi scrittori torrenziali, eleganti e oscuri, entrambi geniali e innovativi, entrambi inimitabili, i loro mondi non si sono reciprocamente toccati. Però, io che ho costruito questo programma pianistico, non posso escludere la mia personale visione di tutti questi temi: la parola centrale di questo titolo, SOGNI, ha per me più a che fare con Lacan che con Jankélévitch, e azzardo la modesta ipotesi di poter trovare tra loro, in questo luogo della libertà, una possibile occasione di dialogo, attraverso la musica.
NOTTE SOGNI MISTERO
Una scelta pianistica dalle pagine di Jankélévitch con una composizionedel compositore Mikola Lyssenko (1842-1912) come OMAGGIO ALL’UCRAINA
Frédéric CHOPIN | 1810-1848
Ballata n. 2 op. 38 (1837-39)
Notturno op. 27 n. 1 (1836)
Gabriel FAURÉ | 1845-1924
Notturno n. 7 op. 74 (1897)
Mykola LYSSENKO | 1842-1912
Angoisse (1901)
Frédéric CHOPIN | 1810-1848
Ballata n. 4 op. 52 (1842)
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Claude DEBUSSY | 1862-1918
Préludes I (1910-13)
I. Danseuses de Delphes
VIII. La fille aux cheveux de lin
Béla BARTÓK | 1881-194
All’aria aperta (1926)
IV. Musica della notte
Erik SATIE | 1866-1925
Le fils des étoiles (1892)
Prélude du 3ème acte
(Thème décorative: la Terrasse du Palais du Patesi Goudéa)
Maurice RAVEL | 1875-1937
Miroirs (1905) ….à Ricardo Viñes
II. Oiseaux tristes
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Valses nobles et sentimentales (1911)
Henri de Régnier: “Le plaisir délicieux et toujours nouveau d’une occupation inutile”
- Modéré
- Assez lent
- Modéré
- Assez animé
- Presque lent
- Assez vif
- Moins vif
- Épilogue: Lent