Il mio “Waldemar” sembra suscitare interessi spionistici: ma Saverio è l’Autore? ma le storie sono tutte autobiografiche?
Certo, il tono può far sembrare che per tutto il libro parli dei veri fatti miei in modo spudorato. Il che sarebbe davvero irrinunciabile per l’umanitá.
Ma l’umanitá, o almeno quella infinitesimale parte di umanitá che si imbatte in “Waldemar”, dovrá farsene una ragione: non è cosí. Si tratta di un romanzo, invenzione, e chi è narratore rielabora frammenti delle sue esperienze reali in un flusso di storie e personaggi immaginati. Io l’ho fatto per parlare di alcuni temi, per dire delle cose. Il centro alla fine non sono neanche le storie (tantomeno l’autobiografia spasmodicamente ricercata da certi lettori), quanto il tentativo di capire delle cose, di porre perlomeno domande sensate. Sull’esistenza privata, sull’esistenza condivisa, sull’esistenza pubblica.
La narrazione è una delle modalitá della conoscenza a nostra disposizione. Le armi formali usate servono a conoscere, altrimenti sono puro divertissement.
Per me, tutto avviene con forte empatia, si tratta di un vero coinvolgimento emotivo. Per questo per dire quel che avevo da dire ho scelto la narrazione, altrimenti, se fossi stato capace di maggiore distanza emotiva, avrei scritto un saggio su Isherwood e sui suoi romanzi americani, con le caratteristiche della scrittura saggistica.
Mi si dice poi che sono un tipo strano. O che novitá!
Chi si pone sempre tante domande cercandone risposte non banali non sta nella dimensione ordinaria dell’essere umano, e quindi è strano. Non omologabile. Sarei in torto se volessi rinunciare a questo.
Ma anche questo non è di alcun interesse se non per le pochissime persone in cui mi imbatto nella mia vita quotidiana, e per me. Quindi, non val la pena neppure porre l’argomento.
Ma perchè parlarne proprio oggi, il 25 aprile?
Intanto perchè, tra le cose di cui parlo in “Waldemar” ci sono anche la guerra, la dittatura, il nazismo, il pacifismo, la morte.
Poi perchè quest’anno le cosiddette “narrazioni” (che si ammantano di “complessitá”) della Resistenza nel presente attuale della guerra in Ucraina ci rendono tutti vedovi di una Narrazione capace di porsi davvero domande giuste e oneste sulla Storia, quella della Resistenza appunto, e su quel che sta accadendo, l’occupazione russa e la resistenza degli Ucraini.
Prima vengono le etichette e poi i fatti.
Un romanzo cosí non potrebbe sopportarlo nessuno. Invece ci va bene in questa complicata situazione storica reale.
Si piegano i fatti della resistenza a piccole microstorie di tipo autobiografico, con accanimento, e se ne perde totalmente il senso reale.
Si fa moralismo sulle armi e sulla pace perdendo completamente il senso morale, e facendo palese uso di doppia morale.
Come nella pandemia, si confondono i piani e si stravolgono i significati di parole fondamentali come libertà, democrazia, dittatura, aggressione, resistenza, pace. Ma tutto questo non è solo un gioco letterario: porta conseguenze reali.
Scrivere ha senso se pone domande serie e oneste sulle parole importanti. Quelle del mio “Waldemar” sono nel suo indice. Le ultime tre sono estremamente calzanti adesso: Morte; Guerra; Estraneitá. La prima, Nudo, è poi quella sulla condizione primaria del nostro esistere: senza difese, forte di vita, vera, immediata.
Perdonatemi se parlo di “Waldemar” insieme a temi forti come la guerra e la Resistenza. Perdonatemi se lo faccio parlando dell’Ucraina. Io vi perdono per la vostra caccia a pettegolezzi sulla mia vita privata nelle pagine di “Waldemar”.
Il fatto è che sono un tipo strano, che dice cose strane, fa cose strane, e nessuno riesce a mettermi addosso etichette che non scivolino via immediatamente. E poi Isherwood, che tanto mi rispecchia, non ha fatto che parlare di memorialistica e finta autobiografia, sullo sfondo del nazismo, della seconda guerra mondiale, della guerra fredda, della crisi di Cuba: della vita straniata, della morte , della guerra, della nuditá fisica e morale riguardo a tutto questo.
